giustizia per Emanuela

Quel giorno era troppo caldo, Emanuela chiede a Pietro di portarla alla scuola di musica. Pietro aveva da fare. Dopo un’accesa discussione tra i due, come fanno i normali fratelli, Emanuela sbatte la porta uscendo di casa. Pietro ancora non lo sa, ma quella è l’ultima volta che vedrà sua sorella, e passerà più di 40 anni a cercare di scoprire la verità senza mai avere una risposta.

Era il 22 giugno 1983, Emanuela aveva solo 15 anni. Alle 19.00 arriva una chiamata in casa Orlandi, a rispondere è Federica. La voce è quella di Emanuela che le dice di essere stata avvicinata da un uomo fuori dalla scuola di musica. L’uomo aveva proposto alla giovane un impiego: fare volantinaggio per l’Avon, una azienda produttrice di cosmetici. La paga era alta, ma la sorella comunque le intima di stare attenta. 

Emanuela si sarebbe dovuta vedere con Maria Cristina, ovvero una delle sue sorelle, per tornare a casa dopo le lezioni. La giovane però non si presenterà mai.

Sono le 21:30, orario insolito per casa Orlandi, ma di Emanuela non c’è ancora traccia. I primi dubbi e le prime ansie iniziano ad affiorare tra i familiari, tanto che il padre va a sporgere denuncia. Quello che si sentirà dire però è che ancora troppo presto per farlo, che sarebbe stato più opportuno denunciare il giorno seguente. 

Pietro non si da tregua e passa tutta la notte su un motorino, accompagnato dal cugino, a cercare Emanuela per le strade di Roma. Pietro non sa che da quella notte non troverà mai più pace.

La mattina seguente la sorella si reca nuovamente in questura per denunciare, ma quello che si sentirà dire è che non c’era molto da preoccuparsi, in fondo Emanuela non era neanche una gran bella ragazza, probabilmente si trattava semplicemente di un allontanamento volontario. In quell’anno decine di adolescenti erano scappati di casa per poi fare ritorno, i poliziotti sostenevano che quello di Emanuela fosse lo stesso caso, eppure la famiglia Orlandi non ci credeva. 

Sul trafiletto di un giornale viene pubblicato il numero di casa Orlandi, e da questo momento arriveranno innumerevoli telefonate tra cui quelle di colui che verrà soprannominato “l’americano”, a causa del suo accento anglofono. E’ da questo momento che si aprirà una prima pista, quella del terrorismo internazionale. Nella sua prima chiamata l’uomo dirà di avere la ragazza in ostaggio e farà sentire una registrazione, per dare prova delle sue affermazioni. Al suo interno si sente la voce di Emanuela che ripeteva “scuola convitto nazionale Vittorio Emanuele II”. Subito dopo l’uomo dice di non preoccuparsi e che andrà tutto per il meglio, in quanto ha comunicato con la sala stampa della santa fede. 

Alla fine della chiamata l’americano fissa un ultimatum per il 20 luglio, affermando che avrebbero ucciso Emanuela a meno che le autorità italiane non avessero rilasciato Mehmet Ali Agca. Quest’ultimo era l’uomo che aveva attentato alla vita del papa qualche anno prima. Si riteneva che egli appartenesse a un gruppo terroristico turco chiamato “i lupi grigi”.

Nonostante la registrazione, le prove che questi avessero nelle loro mani Emanuela, erano ancora insufficienti. Ne verranno fornite altre due, che risulteranno insoddisfacenti, tanto che le autorità furono costrette ad abbandonare l’ipotesi del terrorismo internazionale. 

Passano 22 interminabili anni, periodo nella quale la famiglia Orlandi non avrà notizie di Emanuela. 

Arriva il punto di svolta: una chiamata al celebre programma “chi l’ha visto?”, l’uomo dall’altra parte del telefono disse che per sapere cosa ci fosse dietro la sparizione di Emanuela Orlandi si doveva andare a vedere chi era sepolto nella basilica di S.Apollinare.

Sulla destra della navata davanti a un bianco sarcofago c’era scritto un nome: Enrico De Pedis. Questo nome era noto a tutti, infatti colui che veniva soprannominato “Renatino” era un celebre vertice della banda della magliana. Era peculiare il fatto che un uomo “comune” fosse sepolto in una Basilica, l’unica spiegazione era che avesse fatto un grosso favore alla Chiesa.

Da questo momento si aprirà una seconda pista, quella che riguardava i rapporti tra la banda della magliana e il Vaticano.

A sostegno di questa ipotesi c’era il fatto che il clan di Renatino era particolarmente vicino allo IOR (Istituto per le Opere di Religione), ovvero la banca in cui tutti i religiosi custodiscono i propri soldi.  Il capo di questa banca era il cardinale Paul Marcinkus. E’ noto che questo aveva vari rapporti con organizzazioni mafiose, tra cui la ndrangheta. 

Raffaella Notariale, giornalista che si era occupata del caso Orlandi, risale al nome di Sabrina Minardi, amante dell’ormai deceduto boss mafioso. Questa donna rappresenterà una grande testimonianza per il caso: racconta di aver contribuito al rapimento di Emanuela, di averla tenuta con lei nella sua casa a Torvaianica, sotto ordine di Renatino. La sua testimonianza verrà poi messa da parte, in quanto cambierà spesso versione e il suo racconto diventerà sempre più confuso.

Il sei maggio 2012 il caso di Emanuela viene archiviato per la seconda volta.

Gli inquirenti nel frattempo hanno un’altra pista che vogliono seguire, in quanto scoprono che poco prima della sua scomparsa Emanuela aveva confidato un segreto a una sua amica. In uno dei suoi giri nei giardini vaticani, che era solita fare, era stata avvicinata da un uomo molto vicino al papa, per delle attenzioni sessuali.

Il cardinale Silvio Oddi, dopo tanti anni testimonia, dicendo che Emanuela il giorno della sua scomparsa era in realtà rientrata nella città del Vaticano e che era nuovamente riuscita dal Vaticano in macchina con un Monsignore. Secondo la sua teoria Emanuela era stata coinvolta in una serie di festini.

 Emanuela non sarebbe mai andata volontariamente a questi presunti festini, quindi avrebbe senso la storia iniziale dell’adescamento.

Il 18 settembre del 2017 c’è un’ulteriore svolta: viene scassinata una cassaforte con dei documenti, tra cui cinque fogli che parlavano di Emanuela, in particolare di alcune spese che il vaticano avrebbe sostenuto per l’allontanamento di Emanuela. 

Questo documento viene però dichiarato falso in quanto al suo interno c’erano degli errori formali. 

Nel 2018 l’avvocato della famiglia Orlandi riceve una lettera anonima: c’era la foto di una statua di un angelo che guardava verso il basso e un foglietto con su scritto “se vuoi sapere dove è il corpo di Emanuela devi cercare là dove guarda da l’angelo”. L’angelo era situato  in un piccolo cimitero dietro le mura del Vaticano, e verranno date le autorizzazioni per aprire due tombe. All’inizio non viene trovato nulla, ma decidono comunque di continuare a scavare, trovano due botole in cui vengono rinvenuti ben ventisei sacchi di ossa, si stimava ci fossero 10 corpi.

Queste ossa non sono mai state analizzate, in quanto il Vaticano si era rifiutato, dicendo alla famiglia di Emanuela che se avessero voluto farlo avrebbero pagare di tasca loro, ma queste erano spese che la famiglia Orlandi non poteva permettersi.

Ancora oggi non si sa a chi appartengano quelle ossa.

Il 9 novembre 2023 il Senato ha approvato in via definitiva il ddl che istituisce una commissione di inchiesta parlamentare sulla scomparsa di Emanuela. Speriamo quindi in una conclusione del caso Orlandi. 

La storia di Emanuela è una storia complessa, piena di depistaggi e punti di svolta, una storia che dura da quarant’anni, eppure la sua famiglia è instancabile nel cercare la verità. Prima o poi verrà alla luce e verrà fatta giustizia per una semplice ragazza di quindici anni, vittima di giochi di potere di uomini, che forse non dovrebbero essere appellati come tali, perché di umano hanno molto poco.

scritto da Letizia Duranti

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